“Le mutande sono una virtù elastica, prima di abbassarle bisogna riflettere” disse Napoleone alla Contessa di Castiglione, prima di un incontro galante.
E’ infatti attorno a questo indumento che si è giocata la partita della sessualità, della seduzione e del pudore.
Le motivazioni igieniche per il loro uso sono state ignorate per gran parte del corso della storia e nei periodi in cui si imposero ciò avvenne esclusivamente per due motivi: coprire la nudità in particolari circostanze o richiamare sfacciatamente l’attenzione proprio su ciò che dovevano custodire. Quest’ultimo uso fu per lunghi periodi tollerato solo nelle prostitute, il che non rese un grande servizio alle mutande, additate a più riprese come simbolo di lussuria da scoraggiare assolutamente nelle donne per bene. Che per secoli, salvo brevi intermezzi, si sono guardate bene dall’indossarle.
Per gli antichi la nudità non era un problema: sotto il peplo o il chitone le greche erano nude e, poiché l’abito non era cucito, il gioco del “vedo-non vedo” era più che garantito.
Fra i Romani era diffusa la subligatula, simile ad un “ciripà”, che veniva utilizzato come costume da bagno per andare alle terme e dalle ginnaste per coprire i genitali durante l’attività piuttosto movimentata.
Doveva tuttavia possedere un certo potenziale erotico, se ad un certo punto se ne appropriarono le cortigiane, ben liete di farla intravedere sotto la tunica. Un impiego che segnò il declino dell’indumento: nel Medioevo le donne persero di nuovo le mutande.
A LETTO NUDI
Come veniva difeso il pudore femminile, allora? Da una/due camicie da indossare sotto i vestiti, mentre la notte si dormiva tutti, uomini e donne, nudi.
Né era previsto l’uso di tamponi o pannolini, perlomeno nelle classi più povere, così che le donne mestruavano nelle loro stesse vesti.
L’acqua serviva per bere, fare il bucato e lavarsi tutt’al più mani e faccia: il bidet non solo era sconveniente e peccaminoso, ma considerato anche pericoloso per la salute.
L’assenza di mutande si rivelava abbastanza penosa per le malcapitate condannate a morte, che con l’impiccagione esponevano le proprie nudità alla vista di tutti. Per rispetto al suo rango, a Maria Stuarda prima dell’esecuzione venne fornito un paio di mutandoni che, se non servirono a salvarle la vita, ne salvarono almeno l’onore. Meno fortunata la regina di Francia Maria Antonietta finì sulla ghigliottina così com’era : sotto il vestito niente.
NON FATE VENTO!
E pensare che proprio in Francia le mutande fecero la loro prima comparsa nel guardaroba delle signore. Le impose l’italiana Caterina de’ Medici nel Cinquecento alle sue dame, per evitare che queste mostrassero ad occhi maschili le loro grazie durante le frequenti cavalcate che si facevano a corte. Eppure Caterina non era propriamente un modello di virtù: lei per prima amava intrattenersi con le sue damigelle e non esitava a usarle come agenti sessuali per raccogliere informazioni direttamente tra le alcove nemiche.
In un clima del genere le mutande si trasformarono presto in un civettuolo pretesto per attirare l’attenzione sulle gambe, abilmente fasciate in stoffe impreziosite da pietre e ricami. Di più: già che c’erano, le nobildonne imbottivano i loro mutandoni per perfezionare le proprie rotondità e li tagliavano nei punti strategici per favorire i frequenti e fugaci incontri galanti.
Ma, dopo il breve intermezzo di Caterina, le mutande tornarono ad essere considerate un capo indecoroso, adatto solo alle puttane.
VIVA LA LIBERTA’
Che cosa fece cambiare definitivamente la moda e la mentalità delle signore riguardo alla biancheria? La crinolina, una sorta di gabbia da infilare sotto la gonna per allargarla a dismisura. Una simile armatura non poteva essere di nessuna tutela per gli sguardi indiscreti: bastava un movimento improvviso o salire le scale perché gli abiti si sollevassero oltre i limiti della decenza.
E così, finalmente, i primi decenni dell ‘800 tennero davvero a battesimo le mutande: da quel momento in poi la questione non fu più “metterle o non metterle” ma si incentrò su lunghezze, volumi, tessuti, colori.
Il loro uso era caldeggiato anche nei collegi femminili: grazie ai mutandoni il pudore delle ragazze era salvo. Meglio ancora se i modelli erano predisposti solo con un’apertura posteriore: in questo modo ci si poteva lavare o espletare i propri bisogni senza essere costrette a guardare le proprie nudità. Del resto, in quegli anni era ancora in auge la cosiddetta “Camicia di san Giuseppe”, una camicia da notte con un’apertura nel basso ventre che consentiva i rapporti sessuali tra sposi senza bisogno che si spogliassero.
Ma oltre al pudore le brache salvavano qualcosa di più prezioso e rivoluzionario, la libertà di movimento. E così, come togliersi il reggiseno cent’anni dopo diventò simbolo di emancipazione, infilarsi le mutande lo fu per le nostre bis-bisnonne.
Abstract
L. Spadanuda “Storia delle mutande”
E’ infatti attorno a questo indumento che si è giocata la partita della sessualità, della seduzione e del pudore.
Le motivazioni igieniche per il loro uso sono state ignorate per gran parte del corso della storia e nei periodi in cui si imposero ciò avvenne esclusivamente per due motivi: coprire la nudità in particolari circostanze o richiamare sfacciatamente l’attenzione proprio su ciò che dovevano custodire. Quest’ultimo uso fu per lunghi periodi tollerato solo nelle prostitute, il che non rese un grande servizio alle mutande, additate a più riprese come simbolo di lussuria da scoraggiare assolutamente nelle donne per bene. Che per secoli, salvo brevi intermezzi, si sono guardate bene dall’indossarle.
Per gli antichi la nudità non era un problema: sotto il peplo o il chitone le greche erano nude e, poiché l’abito non era cucito, il gioco del “vedo-non vedo” era più che garantito.
Fra i Romani era diffusa la subligatula, simile ad un “ciripà”, che veniva utilizzato come costume da bagno per andare alle terme e dalle ginnaste per coprire i genitali durante l’attività piuttosto movimentata.
Doveva tuttavia possedere un certo potenziale erotico, se ad un certo punto se ne appropriarono le cortigiane, ben liete di farla intravedere sotto la tunica. Un impiego che segnò il declino dell’indumento: nel Medioevo le donne persero di nuovo le mutande.
A LETTO NUDI
Come veniva difeso il pudore femminile, allora? Da una/due camicie da indossare sotto i vestiti, mentre la notte si dormiva tutti, uomini e donne, nudi.
Né era previsto l’uso di tamponi o pannolini, perlomeno nelle classi più povere, così che le donne mestruavano nelle loro stesse vesti.
L’acqua serviva per bere, fare il bucato e lavarsi tutt’al più mani e faccia: il bidet non solo era sconveniente e peccaminoso, ma considerato anche pericoloso per la salute.
L’assenza di mutande si rivelava abbastanza penosa per le malcapitate condannate a morte, che con l’impiccagione esponevano le proprie nudità alla vista di tutti. Per rispetto al suo rango, a Maria Stuarda prima dell’esecuzione venne fornito un paio di mutandoni che, se non servirono a salvarle la vita, ne salvarono almeno l’onore. Meno fortunata la regina di Francia Maria Antonietta finì sulla ghigliottina così com’era : sotto il vestito niente.
NON FATE VENTO!
E pensare che proprio in Francia le mutande fecero la loro prima comparsa nel guardaroba delle signore. Le impose l’italiana Caterina de’ Medici nel Cinquecento alle sue dame, per evitare che queste mostrassero ad occhi maschili le loro grazie durante le frequenti cavalcate che si facevano a corte. Eppure Caterina non era propriamente un modello di virtù: lei per prima amava intrattenersi con le sue damigelle e non esitava a usarle come agenti sessuali per raccogliere informazioni direttamente tra le alcove nemiche.
In un clima del genere le mutande si trasformarono presto in un civettuolo pretesto per attirare l’attenzione sulle gambe, abilmente fasciate in stoffe impreziosite da pietre e ricami. Di più: già che c’erano, le nobildonne imbottivano i loro mutandoni per perfezionare le proprie rotondità e li tagliavano nei punti strategici per favorire i frequenti e fugaci incontri galanti.
Ma, dopo il breve intermezzo di Caterina, le mutande tornarono ad essere considerate un capo indecoroso, adatto solo alle puttane.
VIVA LA LIBERTA’
Che cosa fece cambiare definitivamente la moda e la mentalità delle signore riguardo alla biancheria? La crinolina, una sorta di gabbia da infilare sotto la gonna per allargarla a dismisura. Una simile armatura non poteva essere di nessuna tutela per gli sguardi indiscreti: bastava un movimento improvviso o salire le scale perché gli abiti si sollevassero oltre i limiti della decenza.
E così, finalmente, i primi decenni dell ‘800 tennero davvero a battesimo le mutande: da quel momento in poi la questione non fu più “metterle o non metterle” ma si incentrò su lunghezze, volumi, tessuti, colori.
Il loro uso era caldeggiato anche nei collegi femminili: grazie ai mutandoni il pudore delle ragazze era salvo. Meglio ancora se i modelli erano predisposti solo con un’apertura posteriore: in questo modo ci si poteva lavare o espletare i propri bisogni senza essere costrette a guardare le proprie nudità. Del resto, in quegli anni era ancora in auge la cosiddetta “Camicia di san Giuseppe”, una camicia da notte con un’apertura nel basso ventre che consentiva i rapporti sessuali tra sposi senza bisogno che si spogliassero.
Ma oltre al pudore le brache salvavano qualcosa di più prezioso e rivoluzionario, la libertà di movimento. E così, come togliersi il reggiseno cent’anni dopo diventò simbolo di emancipazione, infilarsi le mutande lo fu per le nostre bis-bisnonne.
Abstract
L. Spadanuda “Storia delle mutande”